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Cronaca

Parler è offline: Google, Apple e Amazon contro il social del momento

Published by
Claudia Manildo

Anche Salvini si iscrive al nuovo social più chiacchierato del momento, ma Google mette tutta la piattaforma in down. 

Trump censurato (Getty Images)

Parler è una delle piattaforme diventate famose proprio quando Trump è stato letteralmente censurato dai Social più diffusi (Facebook e Twitter). Questa nuova piattaforma era una delle quali che avevano beneficiato della sospensione degli account di Donald Trump.

Quest’ultimo però, non ha mai aperto un account su Parler, la sua presenza è stata data da terze parti: è diventato a tutti gli effetti un forum per i suoi sostenitori. Salvini non se lo fa ripetere due volte, e visto l’ingente numero di profili attivi sulla piattaforma, si fa iscrivere. Il problema è che la mossa non ha riscosso tanto successo proprio per via della censura da parte di Google.

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Salvini si iscrive su Parler, ma Google rimuove la piattaforma

Salvini su Parler

Un tempismo perfetto quello di Salvini. Pubblica il primo post: “Amici, da oggi anche su Parler! Love from Italy“, e la piattaforma è ormai oscurata. Google, Amazon e Apple abbiano censurato il social in quanto mancava il controllo sui post che istigavano violenza.

La censura totale è avvenuta ieri sera, sembra che con l’assenza di server differenti il social stia veramente scomparendo dal web. Un’altra delle decisioni drastiche dei re del web negli ultimi giorni. Così riporta un sito specializzato di monitoraggio del web che ha individuato l’operazione sospetta e ha mandato la notizia online.

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Google, in risposta, ha annunciato che non avrebbe mai più ospitato la piattaforma sul suo motore di ricerca perché troppo conservatrice e poco controllata. L’istigazione alla violenza viene messa al bando come tutela per gli utenti del web.

Sembra proprio il continuo delle censure avvenute pochi giorni fa sui social network più utilizzati dal pubblico: Twitter e Facebook. I due colossi hanno deciso di oscurare il profilo di Trump, con la stessa motivazione di Google: vogliono tutelare gli utenti dall’istigazione alla violenza, trascurando le l’etica democratica del web.

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